Rivista semestrale della Fondazione Luigi (Gino) Pagliarani, pubblicata: dal nr 1 al nr 12 presso le Edizioni Guerini Associati dal nr 13 presso le Edizioni Franco Angeli .
II quarto numero conferma la struttura della rivista adottata e verificata nella sua congruità nei primi tre numeri:
- Le carte di Gino, che sono frutto di un approfondito lavoro di ricerca all’interno dell’archivio che Pagliarani ha costituito mediante le sue schede.
- Gli Studi e Ricerche, che vogliono porsi come un avanzamento dell’opera di Pagliarani attraverso un invito ad autori che, originalmente, sentano l’importanza di continuare un dialogo intellettuale, rispetto al solco da lui tracciato.
Il tema monografico di questo quarto numero, incertezza e cambiamento -«introdotto» dalla sezione «Le carte di Gino» attraverso una serie di inediti scritti in occasioni diverse ma seguendo un’unica traccia ispiratrice da Gino Pagliarani - è ripreso e sviluppato da un numero ampio di contributi di partecipanti a un gruppo di lavoro stabile, operante all’interno dell’organizzazione aziendale, contenitore e ispiratore delle esperienze testimoniate e narrate dai contributi stessi. Questo insieme di idee ed esperienze è arricchito dalla scrittura di alcuni autori più «esterni» - Gianluca Bocchi, Antonino Ferro, Francesco Novara e Giancarlo Origgi - scelta questa che conferma e sviluppa una delle direttrici fondamentali della nostra rivista, orientata al confronto ispirato dalla transizione di codici e dall’apertura conversativa con voci anche lontane dal grumo di idee e di operatività caratterizzanti la psico-socioanalisi.
I temi dell’incertezza e del cambiamento, pur se limitati all’esperienza delle organizzazioni, hanno avuto anche in questi mesi risonanze globali che non ci siamo permessi di non registrare.
II terrore e l’orrore abitano il nostro quotidiano ormai da molto tempo e l’assuefazione ad entrambi è con alta probabilità una delle vittorie, non la meno inattesa, che questo lato oscuro della nostra anima contemporanea sta cogliendo.
L’orrore non ha in questi ultimi mesi risparmiato nessuno: donne, uomini, bambini, gente delle regioni arabe, gente d’Europa, gente d’America, delle regioni del Sud-Est asiatico, creando un villaggio globale di lutto e dolore.
Ma il cimitero dei bambini di Ossezia resta con alta certezza l’evento che più salda con una catena tragica questo secolo appena avviatosi al precedente, che nelle piccole vittime della Shoah aveva visto un vertice del male, che si pensava irripetibile. E se i bambini di Teresin attendono ancora comprensione e lacrime, la carneficina di Beslan è anche nel suo simbolismo tragico la negazione profonda, verrebbe da dire irrimediabilmente irreparabile, di ogni assunto psicosocioanalitico: la violenza si scatena a Beslan contro bambine e bambini, il puer, che ritornavano a scuola dopo le vacanze estive per riprendere il loro colloquio con la conoscenza, per tentare di vivere bene il loro appuntamento con la sfida della bellezza, con l’apprendere cose nuove, ognuno assecondando il suo personale progetto. In questo appuntamento e con quanto di perturbante può essere il tempo dell’inaugurazione di un nuovo ciclo di vita, vengono interrotti, uccisi da donne che, vestite di morte, si sostituiscono al calore delle madri e all’attenzione delle maestre. Un universo di genitalità e maternità negato e orribilmente cancellato, mentre il nostro mondo, la nostra civiltà, pur annichiliti, sembrano non saper comprendere fino in fondo, e dopo una sosta tanto retorica quanto vuota, voltano pagina in attesa di un «ulteriore» che, in un mondo oggi del tutto imprevedibile, sembra il solo evento prevedibile.
Nell’editoriale del primo numero della nostra rivista scrivevamo che «una storia globale della Terra stenta a originarsi e la violenza sembra uccidere l’utopia».
L. Pagliarani portava sempre con sé quello che definiva il suo «santino laico»: la fotografia di una bimba, Omayra Sancher, morta sepolta nella melma dove è stata prigioniera per tre giorni a causa dell’eruzione di un vulcano in Messico, non salvata malgrado l’intervento della tecnologia contemporanea che è arrivata orgogliosa sulla luna, ma che non ha saputo strappare a una morte orribile la piccola messicana.
Sui margini del «santino» Pagliarani annota: «non riescono a salvarla, mancano pompe per sciogliere il fango che si cementifica. Capita la fine. La bambina piangeva «Signore non è giusto, non ho ancora 13 anni» e chiuse gli occhi» (cfr. nota 1).
Sembra proprio che per il puer la cultura contemporanea non si espanda al livello atteso e che tale dimensione sia la prima a essere attaccata e in ogni caso a non essere tutelata.
Noi pensiamo che sia necessario oggi più che mai un pensiero nuovo, capace di gestire il conflitto umano, nella convinzione che i termini dei problemi umani non siano mai solo uno o l’altro in posizione alternativa e oppositiva, ma che sia sempre possibile costruire un «terzo», pena la morte dei bambini e primo fra tutti del nostro puer interno.
1
Pagliarani L. (2004), Calepino, Nicolodi, Rovereto, p. 30.
(collegamento alle Edizioni Guerini e Associati)